DEMENZA DI
ALZHEIMER
Imparare a
diagnosticarla
Imparare a gestirla
Imparare a capirla
L’invecchiamento
è un processo conseguente ad una perdita progressiva delle riserve
organiche e funzionali della maggior parte degli apparati , con
compromissione dell’omeostasi e successivo lento recupero da uno
sforzo e maggior fragilità .
Negli
ultimi anni l'aspettativa di vita è andata progressivamente
aumentando.
Si
stima che alla nascita sia di 77.1 anni per gli uomini e 83.7
anni per le donne.
Il
dato rilevante è , tuttavia, l'aspettativa di vita a 65 anni
che risulta essere di + 16.5 anni per gli uomini che arrivano così
a 81.5 anni e + 20.5 anni per le donne che possano raggiungere
gli 85.5 anni di vita .
Le
conseguenze della longevità sono però un aumento delle patologie
croniche e della non autosufficienza ( il 20% dei pazienti sopra i
75aa è non autosufficiente) con secondaria crescita dei bisogni e
maggiore richiesta di assistenza .
L'obbiettivo
di ogni medico dovrebbe essere quindi quello di confinare la
disabilità agli ultimi anni della vita, riducendo il divario tra
speranza di vita e vita attiva.
In
tutto questo la demenza gioca un ruolo rilevante essendo
un'importante causa di disabilità e una condizione di carico
elevato per la famiglia e la società.
In
presenza di demenza abbiamo una perdita delle funzioni intellettive
(il pensare, il ricordare, il ragionare) di una severità tale da
interferire con gli atti quotidiani della vita di un individuo.
La
causa e il grado di progressione delle demenze possono variare.
E'
indispensabile che tutte le persone con deficit mnemonico
o confusione siano sottoposte ad accurato accertamento diagnostico .
Nessuno
deve accettare come spiegazione
il fatto che sta "invecchiando".
La
demenza è una condizione che interessa dall’1
al 5 per cento della popolazione sopra i 65 anni di età, con una
prevalenza che raddoppia poi ogni quattro anni, giungendo quindi a
una percentuale circa del 30 per cento all’età di 80 anni.
Nel
mondo 25 milioni di persone soffrono di demenza, con 4,6 milioni di
nuovi casi l'anno, una nuova diagnosi ogni 7 secondi. Secondo uno
studio italiano l'incidenza dei casi è raddoppiata negli ultimi 5
anni. La malattia di Alzheimer, la più comune forma di demenza
(50-70%), è un fenomeno in costante crescita.
Ogni
anno, in Italia, si registrano 150 mila nuovi casi di demenza
tra la popolazione over 65 (tra questi 80.000 affetti da Alzheimer
e 40.000 da demenza vascolare) pari a un’incidenza media
dell’1,25%, e si calcola che nel 2020, considerando l’attuale
andamento demografico, il conseguente invecchiamento della
popolazione , potrebbero diventare 213.000 l’anno (113.000
attribuibili all'Alzheimer e 57.000 alla demenza vascolare)
La
demenza di Alzheimer ha un esordio graduale ed insidioso ed un
decorso lento. Di solito il paziente giunge alla morte in 3-10 anni
dalla diagnosi.
Uno
dei personaggi più conosciuti che ha sofferto di questa malattia, è
stato Ronald Wilson Reagan , 40° presidente degli Stati Uniti
d’America, in carica dal 1981 (69 anni) al 1989.
La
malattia si manifesta prevalentemente dopo i 60 anni, anche se
esistono casi molto più rari di esordio fra i 30 e 50 anni.
La
malattia di Alzheimer non è normalmente ereditaria. Le forme
sporadiche sono la maggioranza (circa il 75% dei casi): sporadico
significa che la malattia colpisce un solo membro di una famiglia.
Nelle forme familiari (il restante 25% dei casi) più persone sono
invece colpite nella stessa famiglia.
La
causa non è quindi da ricercarsi nel proprio patrimonio genetico.
Avere nella propria famiglia alcuni malati di Alzheimer non significa
essere destinati ad ammalarsi, perché nella maggioranza dei casi non
vi è un origine genetica
Come
mai è importante fare la diagnosi?
Esistono
forme di demenza "trattabili", quali la demenza vascolare,
la demenza che insorge nell'idrocefalo normoteso, nell'ematoma
sottodurale cronico e nell'ipotiroidismo, le demenze da deficit di
vitB12 e Folati; talora una grave depressione può simulare una
demenza (la cosiddetta "pseudodemenza").
L'individuazione
della causa della demenza si basa sull'esame obiettivo neurologico
supportato dal MMSE ( Mini Mental State Examination) e test
neuropsicologici e sull'esecuzione di accertamenti di laboratorio e
strumentali, quali la Tomografia assiale Computerizzata (TAC) e la
Risonanza Magnetica (RM). Inoltre indagini ematochimiche possono
identificare cause secondarie di demenza, come l'ipotiroidismo o la
carenza di vitamina B12 e folati.
SUPPORTO
AI FAMILIARI
Il
graduale deterioramento delle funzioni cognitive e delle abilità
funzionali che conseguono la demenza rendono impossibile la vita
autonoma del malato che necessita sempre più di un’assistenza
assidua e continuativa. Spesso i membri della famiglia tendono
gradualmente a rimuovere il problema assistenziale, delegando il
compito dell’assistenza ad un solo soggetto, che diventa il
caregiver principale del malato.
Nelle
fasi iniziali della malattia il caregiver si prende cura di tutti
quei compiti di gestione della casa (cucinare, fare la spesa, fare le
pulizie, occuparsi delle questioni finanziarie) che il soggetto con
demenza diventa gradualmente incapace di affrontare.
Il
prendersi cura di un soggetto con demenza spesso altera pesantemente
gli equilibri dell’intera famiglia ed in particolare lo stato di
benessere del caregiver principale.
L’enorme
e prolungata richiesta di assistenza può avere infatti effetti
negativi sulla sua salute fisica e mentale, sulla sua partecipazione
ad attività sociali e ricreative e sulla sicurezza finanziaria.
Nel
90% dei familiari dei dementi si manifesta progressivamente una
malattia da disadattamento con profonda ansietà e tristezza,
talvolta depressione grave, abuso di alcool e di farmaci.
Il
“burn-out” del caregiver, cioè il punto di rottura sul piano
fisico e psichico è spesso condizionato dal livello di
autosufficienza del malato di demenza:
negli
stadi iniziali della malattia il caregiver sperimenta soprattutto un
coinvolgimento emozionale di fronte alla diagnosi e alla prognosi
della malattia, mentre negli stadi più avanzati la fatica e lo
stress diventano soprattutto di natura fisica.
FISIOPATOLOGIA
La
malattia è dovuta a una diffusa distruzione di neuroni, causata
principalmente dalla betamiloide, una proteina che depositandosi tra
i neuroni agisce come una sorta di collante, creando placche (ammasso
extracellulare di corpi dendridici, assonali e gliali lassamente
aggregati) e grovigli "neurofibrillari“(Sono fasci di
filamenti elicoidali che si accumulano in matasse nel corpo
cellulare). E' accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina
nel cervello, sostanza fondamentale per la memoria ma anche per le
altre facoltà intellettive. La conseguenza di queste modificazioni
cerebrali è l'impossibilità per il neurone di trasmettere gli
impulsi nervosi e quindi la morte.
Nei
pazienti affetti da Alzheimer vi è sovente una pronunciata atrofia
corticale. Più colpite sono generalmente il lobo frontale, la parte
anteriore del lobo temporale , il lobo parietale , l'ippocampo, il
locus coerulus , le aree limbiche (probabile causa dei disturbi
dell'umore) ed il nucleo basale di Meynert ( nucleo di connessione
tra le varie strutture la cui degenerazione può spiegare la grave
diminuzione della concentrazione di acetilcolina nella corteccia).
Nella
fase iniziale le manifestazioni precoci
comprendono perdita di memoria. Il paziente può rendersi conto e
chiedere anche l'aiuto di altri, ma spesso non succede così. A volte
la malattia inizia con disturbi del linguaggio e con anomia (
incapacità a denominare un oggetto pur riconoscendolo) piuttosto che
con sintomi amnesici ( incapacità di ricordare eventi recenti).
Nella
fase intermedia il danno della memoria si
accentua e in più si aggiungono episodi confusionali transitori,
errori di valutazione e trascuratezza. Appare la parafasia e l'anomia
. La memoria anterograda è molto alterata mentre quella retrograda è
meno colpita. Emerge anche aprassia costruttiva ( incapacità a
compiere azioni comuni) e aprassia d'abbigliamento. Per la prima
volta possono apparire alterazioni dell'umore, che sono improvvise ed
imprevedibili. Con il passare del tempo il paziente perde interesse a
ciò che lo circonda. Può dimenticare molto facilmente, in
particolare eventi recenti e nomi di persone.
La
fase finale è caratterizzata da grave confusione e
disorientamento; possono avere luogo allucinazioni e deliri. In
questa fase il paziente può risultare incontinente e trascurare
l'igiene personale. Gli stadi finali sono caratterizzati da vuoto
mentale e perdita del controllo delle funzioni corporee; totale
dipendenza del malato e dalla sua inattività
DIAGNOSI
Ancora
oggi risulta difficile fare diagnosi di Alzheimer soprattutto nelle
fasi iniziali. Studi del 2001 (Bozoki et al 2001) hanno evidenziato
che pazienti anziani non dementi affetti da un disturbo isolato di
memoria presentano una progressione relativamente bassa (6%) a
demenza nei due anni successivi alla valutazione, mentre il rischio
di sviluppare demenza è significativamente più alto (48%) fra
pazienti con un deficit in un'altra area cognitiva oltre la perdita
di memoria.
In tre studi
longitudinali (Chen et al. 2000; Elias et al. 2000; Small et al.
2000) ampi campioni di soggetti provenienti dalla popolazione
generale sono stati seguiti per periodi di tempo molto lunghi (di 10,
22 e 7 anni rispettivamente) e sottoposti a intervalli regolari a
valutazioni cognitive per l'accertamento dell'esordio di una demenza.
Alla fine del periodo di follow-up sono state confrontate le
prestazioni neuropsicologiche dei soggetti che erano rimasti non
dementi con quelle di soggetti che avevano sviluppato una demenza di
Alzheimer per evidenziare quali funzioni cognitive fossero
maggiormente predittive dello sviluppo di quest'ultima. In tutti i
casi veniva evidenziata una lunga fase preclinica di malattia in cui
la
memoria risultava essere la
funzione cognitiva più comunemente compromessa. Anche deficit delle
funzioni esecutive
e delle capacità
di ragionamento astratto
possono essere predittori della futura demenza accanto ai disturbi di
memoria (Chen et al. 2001; Elias et al. 2001). Infatti già
nelle fasi iniziali della malattia si possono riscontrare deficit di
diverse abilità cognitive come la memoria episodica, le abilità
verbali, le funzioni visuo-spaziali, l'attenzione e le funzioni
esecutive. Recentemente molti studi hanno mostrato che deficit di
queste funzioni possono essere predittori di demenza alcuni anni
prima dell'inizio clinico della malattia.
Altri studi (Fabrigoule
et al. 1998; Jacobs et al. 1995; Linn et al. 1995; Masur et al. 1994)
hanno analizzato retrospettivamente le prestazioni cognitive di
pazienti affetti da Alzheimer risalenti ad alcuni anni prima della
diagnosi di demenza mostrando l'esistenza di una fase preclinica di
malattia in cui la patologia comincia ad avere alcune ripercussioni
sulle funzioni cognitive, ma non è ancora sufficientemente
sviluppata perché i criteri per porre diagnosi di demenza siano del
tutto raggiunti. I deficit cognitivi descritti in questa fase
preclinica come possibili predittori di demenza e individuabili da
uno a tre anni prima dell'inizio clinico della malattia sono diversi:
oltre ai deficit della memoria
episodica, deficit della fluidità verbale, del linguaggio e del
ragionamento astratto.
L'insieme di queste ricerche se da una parte conferma la precocità e la quasi costante presenza del disturbo di memoria in una fase preclinica di malattia, dall'altra evidenzia come frequentemente il disturbo di memoria sia spesso accompagnato, già in questa fase, da altri deficit cognitivi subclinici.
L'insieme di queste ricerche se da una parte conferma la precocità e la quasi costante presenza del disturbo di memoria in una fase preclinica di malattia, dall'altra evidenzia come frequentemente il disturbo di memoria sia spesso accompagnato, già in questa fase, da altri deficit cognitivi subclinici.
Scopo del
progetto“Diagnosi Precoce della Malattia di Alzheimer” –
IT.I.N.A.D (Italian Interdisciplinary Network on Alzheimer Disease
- www.itinad.com).
è lo studio di una serie di parametri neuropsicologici, biochimici,
e neuroradiologici volto a individuare markers predittivi precoci di
Malattia di Alzheimer. Fattori predittivi sarebbero alcune
caratteristiche del disturbo di memoria, lo stato di portatore
dell'apolipoproteina E4 e la presenza alla risonanza magnetica di
atrofia dell'ippocampo, ma anche dell’amigdala e del lobo temporale
(vedi per una recente revisione Geda e Petersen 2001). Questi dati
implicano che il processo degenerativo è iniziato in questi soggetti
e che l'ippocampo è uno dei siti di più precoce coinvolgimento
(Jack et al. 1997)
Il
seguente Protocollo neuropsicologico potrebbe essere utilizzato per
fare una diagnosi precoce di Malattia di Alzheimer .
Il
primo test che andrebbe sempre fatto è il MMSE .
Tutti
i soggetti con punteggio maggiore di 24 possono essere considerati
potenziali pazienti con demenza in fase iniziale, mentre coloro che
risultano con un punteggio già inferiore a 24 sono pazienti con
demenza conclamata.
Pertanto,
un protocollo approfondito neuropsicologico , per diagnosticare fasi
iniziali di demenza, è indicato solo nei pazienti con MMSE maggiore
di 24.
I
test che potrebbero essere utilizzati sono:
Per
valutare la qualità di rievocazione immediata e differita: 15 parole
di Rey
Per
la memoria a breve termine: Test di Corsi e Parole bisillabiche
Per
la memoria a lungo termine : Span-visu spaziale
Per
valutare la qualità di apprendimento: Memoria di prosa
Valutazione
attenzione Selettiva o divisa: matrici attenzionali
Attenzione
visiva: trayl making test
Valutazione
del linguaggio : Fluenze verbali per categoria
Valutazione
del ragionamento, intelligenza, funzioni integrative : Giudizi
verbali, Matrici di Raven
Valutazione
funzionale: ADL, IADL
Valutazione
dello stato dell'umore: GDS ( scala per lo studio della depressione)
L’uso
di farmaci anticolinesterasici in quei soggetti in cui il
declino cognitivo è ancora iniziale è fondamentale per ritardare
la comparsa dei sintomi di demenza.
PROTEZIONE DEL MALATO
Con
l'avanzare della malattia, il paziente affetto da Alzheimer dovrà
affrontare crescenti difficoltà nell'interagire con il proprio
ambiente domestico, familiare, sociale. Diventa pertanto necessario
adattare l'ambiente alle sue mutate possibilità cognitive e
relazionali, creando un contesto che sia il più semplice e
protettivo possibile.
Ricreare
un ambiente sicuro, senza attrezzi affilati, pavimenti scivolosi e
tappeti inciampanti, cavi elettrici vistosi. Dotare le porte e le
uscite di lucchetti di sicurezza. Montare maniglie di appoggio nei
bagni. Illuminare gli ambienti notturni per evitare confusione e
irrequietezza. Organizzare i ritmi di vita del paziente con compiti
giornalieri puntuali e fissi. Spiegare tutte le procedure e le
attività prima di attuarle. Usare calendari, orologi, etichette o
giornali per facilitare l'orientamento temporale. Ridurre l'eccessiva
stimolazione e l'uscita in ambienti affollati: la stimolazione
ambientale può portare ad agitazione e disorientamento. Evitare
l'eccessiva luce di finestre e specchi, il rumore della TV e il
disordine.
Stabilire
una routine e mantenere uno standard di normalità
Lo
stabilire una routine, nella vita dell'ammalato, può diminuire il
numero di decisioni da prendere e contribuire a mantenere un ordine e
una struttura nella sua vita quotidiana, che sarebbe altrimenti
confusa.
Sostenere
l'autonomia del paziente
È
necessario che la persona rimanga indipendente il maggior tempo
possibile, sia per preservare la sua autostima sia per diminuire il
carico dell'assistenza.
Aiutare
la persona a conservare la propria dignità
Occorre
tenere in mente che il paziente assistito è ancora un individuo che
sperimenta emozioni e sentimenti; pertanto ciò che viene detto può
avere, per lui, un effetto disturbante. Occorre evitare discussioni
circa le condizioni del paziente in sua presenza.
Evitare
scontri
Qualsiasi
tipo di conflitto causa uno stress inutile sia alla persona che
assiste sia al malato. Occorre evitare di far notare gli insuccessi,
mantenendo invece una calma compostezza. L'indisporsi può solo
peggiorare la situazione: occorre infatti ricordare che quanto accade
dipende dalla malattia, e non dal paziente.
Stabilire
compiti semplici
È
utile proporre compiti semplici al malato ; non bisogna porlo di
fronte a troppe scelte.
Mantenere
il senso dell'umorismo
Ridere
con la persona affetta da demenza di Alzheimer, ma non di lui.
L'umorismo può essere un ottimo modo per trarre sollievo dallo
stress.
Incoraggiare
il mantenimento di una buona forma fisica e di buone condizioni di
salute
In
molti casi, questo atteggiamento può aiutare la persona a conservare
le proprie abilità fisiche e mentali più a lungo.
Aiutare
il paziente a fare il migliore uso delle abilità esistenti
Lo
svolgimento di alcune attività pianificate può rafforzare e
promuovere un senso di dignità e di valore personale, dando uno
scopo e un significato alla vita.
Mantenere
aperta la comunicazione
Con
l'avanzare della malattia, la comunicazione con il malato può
diventare più difficile. Può essere d'aiuto per chi assiste il
paziente:
accertarsi della integrità dei suoi sensi, come la vista e l'udito
(la prescrizione degli occhiali può non essere più adeguata o
l'apparecchio acustico può non funzionare correttamente);
parlare chiaramente, lentamente, viso a viso, e guardando la persona
negli occhi;
mostrare affetto e calore attraverso il contatto fisico, se questo è
gradito dalla persona;
prestare attenzione al linguaggio del corpo: la persona le cui
capacità di linguaggio verbale sono compromesse può comunicare
attraverso messaggi non-verbali;
essere consapevoli del proprio linguaggio corporeo;
individuare quale combinazione di parole-chiave (parole facili da
ricordare che ne possono suggerire altre), suggerimenti e spiegazioni
è necessaria per poter comunicare efficacemente con la persona
ammalata; assicurarsi che il paziente sia attento prima di
rivolgergli la parola.
Il
pittore inglese William Utermohlen ha documentato in una serie di
autoritratti il declino inesorabile del suo cervello colpito
dall’Alzheimer: una sorta di specchio delle facoltà intellettive.
A 62
anni, nel 1994, quando gli viene diagnosticata la malattia, decise
con coraggio , insieme alla moglie , di documentarla attraverso
autoritratti.
Interessato
a cogliere, al di là dei tratti fisici, il mondo interiore. Sarà
la moglie, poi, a raccogliere i quadri.
Le
capacità grafiche e tecniche che progressivamente si riducono non
impediscono quelle espressive anzi quasi le accentuano. Alla rabbia
iniziale segue confusione e tristezza.
Lo
sfondo diventa nero ad indicare una solitudine che anche cure
affettuose non riescono a colmare.
Cinque
anni dopo la diagnosi,la sua pittura divenne solo una sequenza di
attimi fuggevoli. L’artista è ancora in grado di dipingere un
ritratto abbozzato, ma emerge un’immagine straniera e minacciosa
per la propria identità.
Chi
segue la malattia attraverso una persona cara sa quanto sia
difficile definire la consapevolezza del paziente, il perché di
certi atteggiamenti, la causa di mutamenti improvvisi del
comportamento.
Le
immagini presentate dimostrano che la diminuzione delle capacità
cognitive non è sempre perdita di consapevolezza nè di emozioni e
che il mondo interiore, la sensibilità, le paure, i desideri, sono
conservati a lungo nonostante la malattia.
Molti
disturbi “comportamentali” dei pazienti sono dovuti a questo.
Ci
indicano che, nonostante la malattia, il desiderio di comunicare non
cessa, anche se il paziente può esprimersi solo con mezzi
limitati.
Per
l’ artista il tramite è la propria arte, alla quale egli non
rinuncia mai, vero “ponte” verso la realtà, di qualsiasi
realtà si tratti.
Dott.
Michela Pazzaglia
Specialista
in Geriatria e Gerontologia
Omeopata
Residente
a Cascina via Risorgimento 46 , cap 56021
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