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13 dicembre 2013

Alzheimer


DEMENZA DI ALZHEIMER


Imparare a diagnosticarla
Imparare a gestirla
Imparare a capirla




L’invecchiamento è un processo conseguente ad una perdita progressiva delle riserve organiche e funzionali della maggior parte degli apparati , con compromissione dell’omeostasi e successivo lento recupero da uno sforzo e maggior fragilità .
Negli ultimi anni l'aspettativa di vita è andata progressivamente aumentando.
Si stima che alla nascita sia di 77.1 anni per gli uomini e 83.7 anni per le donne.
Il dato rilevante è , tuttavia, l'aspettativa di vita a 65 anni che risulta essere di + 16.5 anni per gli uomini che arrivano così a 81.5 anni e + 20.5 anni per le donne che possano raggiungere gli 85.5 anni di vita .
Le conseguenze della longevità sono però un aumento delle patologie croniche e della non autosufficienza ( il 20% dei pazienti sopra i 75aa è non autosufficiente) con secondaria crescita dei bisogni e maggiore richiesta di assistenza .
L'obbiettivo di ogni medico dovrebbe essere quindi quello di confinare la disabilità agli ultimi anni della vita, riducendo il divario tra speranza di vita e vita attiva.

In tutto questo la demenza gioca un ruolo rilevante essendo un'importante causa di disabilità e una condizione di carico elevato per la famiglia e la società.

In presenza di demenza abbiamo una perdita delle funzioni intellettive (il pensare, il ricordare, il ragionare) di una severità tale da interferire con gli atti quotidiani della vita di un individuo.
La causa e il grado di progressione delle demenze possono variare.
E' indispensabile che tutte le persone con deficit mnemonico o confusione siano sottoposte ad accurato accertamento diagnostico .
Nessuno deve accettare come spiegazione il fatto che sta "invecchiando".

La demenza è una condizione che interessa dall’1 al 5 per cento della popolazione sopra i 65 anni di età, con una prevalenza che raddoppia poi ogni quattro anni, giungendo quindi a una percentuale circa del 30 per cento all’età di 80 anni.
Nel mondo 25 milioni di persone soffrono di demenza, con 4,6 milioni di nuovi casi l'anno, una nuova diagnosi ogni 7 secondi. Secondo uno studio italiano l'incidenza dei casi è raddoppiata negli ultimi 5 anni. La malattia di Alzheimer, la più comune forma di demenza (50-70%), è un fenomeno in costante crescita.
Ogni anno, in Italia, si registrano 150 mila nuovi casi di demenza tra la popolazione over 65 (tra questi 80.000 affetti da Alzheimer e 40.000 da demenza vascolare) pari a un’incidenza media dell’1,25%, e si calcola che nel 2020, considerando l’attuale andamento demografico, il conseguente invecchiamento della popolazione , potrebbero diventare 213.000 l’anno (113.000 attribuibili all'Alzheimer e 57.000 alla demenza vascolare)





La demenza di Alzheimer ha un esordio graduale ed insidioso ed un decorso lento. Di solito il paziente giunge alla morte in 3-10 anni dalla diagnosi.
Uno dei personaggi più conosciuti che ha sofferto di questa malattia, è stato Ronald Wilson Reagan , 40° presidente degli Stati Uniti d’America, in carica dal 1981 (69 anni) al 1989.
La malattia si manifesta prevalentemente dopo i 60 anni, anche se esistono casi molto più rari di esordio fra i 30 e 50 anni.

La malattia di Alzheimer non è normalmente ereditaria. Le forme sporadiche sono la maggioranza (circa il 75% dei casi): sporadico significa che la malattia colpisce un solo membro di una famiglia.
Nelle forme familiari (il restante 25% dei casi) più persone sono invece colpite nella stessa famiglia.
La causa non è quindi da ricercarsi nel proprio patrimonio genetico. Avere nella propria famiglia alcuni malati di Alzheimer non significa essere destinati ad ammalarsi, perché nella maggioranza dei casi non vi è un origine genetica

Come mai è importante fare la diagnosi?
Esistono forme di demenza "trattabili", quali la demenza vascolare, la demenza che insorge nell'idrocefalo normoteso, nell'ematoma sottodurale cronico e nell'ipotiroidismo, le demenze da deficit di vitB12 e Folati; talora una grave depressione può simulare una demenza (la cosiddetta "pseudodemenza").
L'individuazione della causa della demenza si basa sull'esame obiettivo neurologico supportato dal MMSE ( Mini Mental State Examination) e test neuropsicologici e sull'esecuzione di accertamenti di laboratorio e strumentali, quali la Tomografia assiale Computerizzata (TAC) e la Risonanza Magnetica (RM). Inoltre indagini ematochimiche possono identificare cause secondarie di demenza, come l'ipotiroidismo o la carenza di vitamina B12 e folati.








SUPPORTO AI FAMILIARI
Il graduale deterioramento delle funzioni cognitive e delle abilità funzionali che conseguono la demenza rendono impossibile la vita autonoma del malato che necessita sempre più di un’assistenza assidua e continuativa. Spesso i membri della famiglia tendono gradualmente a rimuovere il problema assistenziale, delegando il compito dell’assistenza ad un solo soggetto, che diventa il caregiver principale del malato.

Nelle fasi iniziali della malattia il caregiver si prende cura di tutti quei compiti di gestione della casa (cucinare, fare la spesa, fare le pulizie, occuparsi delle questioni finanziarie) che il soggetto con demenza diventa gradualmente incapace di affrontare.
Il prendersi cura di un soggetto con demenza spesso altera pesantemente gli equilibri dell’intera famiglia ed in particolare lo stato di benessere del caregiver principale.
L’enorme e prolungata richiesta di assistenza può avere infatti effetti negativi sulla sua salute fisica e mentale, sulla sua partecipazione ad attività sociali e ricreative e sulla sicurezza finanziaria.
Nel 90% dei familiari dei dementi si manifesta progressivamente una malattia da disadattamento con profonda ansietà e tristezza, talvolta depressione grave, abuso di alcool e di farmaci.

Il “burn-out” del caregiver, cioè il punto di rottura sul piano fisico e psichico è spesso condizionato dal livello di autosufficienza del malato di demenza:
negli stadi iniziali della malattia il caregiver sperimenta soprattutto un coinvolgimento emozionale di fronte alla diagnosi e alla prognosi della malattia, mentre negli stadi più avanzati la fatica e lo stress diventano soprattutto di natura fisica.


FISIOPATOLOGIA
La malattia è dovuta a una diffusa distruzione di neuroni, causata principalmente dalla betamiloide, una proteina che depositandosi tra i neuroni agisce come una sorta di collante, creando placche (ammasso extracellulare di corpi dendridici, assonali e gliali lassamente aggregati) e grovigli "neurofibrillari“(Sono fasci di filamenti elicoidali che si accumulano in matasse nel corpo cellulare). E' accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello, sostanza fondamentale per la memoria ma anche per le altre facoltà intellettive. La conseguenza di queste modificazioni cerebrali è l'impossibilità per il neurone di trasmettere gli impulsi nervosi e quindi la morte.
Nei pazienti affetti da Alzheimer vi è sovente una pronunciata atrofia corticale. Più colpite sono generalmente il lobo frontale, la parte anteriore del lobo temporale , il lobo parietale , l'ippocampo, il locus coerulus , le aree limbiche (probabile causa dei disturbi dell'umore) ed il nucleo basale di Meynert ( nucleo di connessione tra le varie strutture la cui degenerazione può spiegare la grave diminuzione della concentrazione di acetilcolina nella corteccia).

Nella fase iniziale le manifestazioni precoci comprendono perdita di memoria. Il paziente può rendersi conto e chiedere anche l'aiuto di altri, ma spesso non succede così. A volte la malattia inizia con disturbi del linguaggio e con anomia ( incapacità a denominare un oggetto pur riconoscendolo) piuttosto che con sintomi amnesici ( incapacità di ricordare eventi recenti).
Nella fase intermedia il danno della memoria si accentua e in più si aggiungono episodi confusionali transitori, errori di valutazione e trascuratezza. Appare la parafasia e l'anomia . La memoria anterograda è molto alterata mentre quella retrograda è meno colpita. Emerge anche aprassia costruttiva ( incapacità a compiere azioni comuni) e aprassia d'abbigliamento. Per la prima volta possono apparire alterazioni dell'umore, che sono improvvise ed imprevedibili. Con il passare del tempo il paziente perde interesse a ciò che lo circonda. Può dimenticare molto facilmente, in particolare eventi recenti e nomi di persone.
La fase finale è caratterizzata da grave confusione e disorientamento; possono avere luogo allucinazioni e deliri. In questa fase il paziente può risultare incontinente e trascurare l'igiene personale. Gli stadi finali sono caratterizzati da vuoto mentale e perdita del controllo delle funzioni corporee; totale dipendenza del malato e dalla sua inattività

DIAGNOSI
Ancora oggi risulta difficile fare diagnosi di Alzheimer soprattutto nelle fasi iniziali. Studi del 2001 (Bozoki et al 2001) hanno evidenziato che pazienti anziani non dementi affetti da un disturbo isolato di memoria presentano una progressione relativamente bassa (6%) a demenza nei due anni successivi alla valutazione, mentre il rischio di sviluppare demenza è significativamente più alto (48%) fra pazienti con un deficit in un'altra area cognitiva oltre la perdita di memoria.
In tre studi longitudinali (Chen et al. 2000; Elias et al. 2000; Small et al. 2000) ampi campioni di soggetti provenienti dalla popolazione generale sono stati seguiti per periodi di tempo molto lunghi (di 10, 22 e 7 anni rispettivamente) e sottoposti a intervalli regolari a valutazioni cognitive per l'accertamento dell'esordio di una demenza. Alla fine del periodo di follow-up sono state confrontate le prestazioni neuropsicologiche dei soggetti che erano rimasti non dementi con quelle di soggetti che avevano sviluppato una demenza di Alzheimer per evidenziare quali funzioni cognitive fossero maggiormente predittive dello sviluppo di quest'ultima. In tutti i casi veniva evidenziata una lunga fase preclinica di malattia in cui la memoria risultava essere la funzione cognitiva più comunemente compromessa. Anche deficit delle funzioni esecutive e delle capacità di ragionamento astratto possono essere predittori della futura demenza accanto ai disturbi di memoria (Chen et al. 2001; Elias et al. 2001). Infatti già nelle fasi iniziali della malattia si possono riscontrare deficit di diverse abilità cognitive come la memoria episodica, le abilità verbali, le funzioni visuo-spaziali, l'attenzione e le funzioni esecutive. Recentemente molti studi hanno mostrato che deficit di queste funzioni possono essere predittori di demenza alcuni anni prima dell'inizio clinico della malattia.
Altri studi (Fabrigoule et al. 1998; Jacobs et al. 1995; Linn et al. 1995; Masur et al. 1994) hanno analizzato retrospettivamente le prestazioni cognitive di pazienti affetti da Alzheimer risalenti ad alcuni anni prima della diagnosi di demenza mostrando l'esistenza di una fase preclinica di malattia in cui la patologia comincia ad avere alcune ripercussioni sulle funzioni cognitive, ma non è ancora sufficientemente sviluppata perché i criteri per porre diagnosi di demenza siano del tutto raggiunti. I deficit cognitivi descritti in questa fase preclinica come possibili predittori di demenza e individuabili da uno a tre anni prima dell'inizio clinico della malattia sono diversi: oltre ai deficit della memoria episodica, deficit della fluidità verbale, del linguaggio e del ragionamento astratto.
L'insieme di queste ricerche se da una parte conferma la precocità e la quasi costante presenza del disturbo di memoria in una fase preclinica di malattia, dall'altra evidenzia come frequentemente il disturbo di memoria sia spesso accompagnato, già in questa fase, da altri deficit cognitivi subclinici.
Scopo del progetto“Diagnosi Precoce della Malattia di Alzheimer” – IT.I.N.A.D (Italian Interdisciplinary Network on Alzheimer Disease - www.itinad.com). è lo studio di una serie di parametri neuropsicologici, biochimici, e neuroradiologici volto a individuare markers predittivi precoci di Malattia di Alzheimer. Fattori predittivi sarebbero alcune caratteristiche del disturbo di memoria, lo stato di portatore dell'apolipoproteina E4 e la presenza alla risonanza magnetica di atrofia dell'ippocampo, ma anche dell’amigdala e del lobo temporale (vedi per una recente revisione Geda e Petersen 2001). Questi dati implicano che il processo degenerativo è iniziato in questi soggetti e che l'ippocampo è uno dei siti di più precoce coinvolgimento (Jack et al. 1997)
Il seguente Protocollo neuropsicologico potrebbe essere utilizzato per fare una diagnosi precoce di Malattia di Alzheimer .
Il primo test che andrebbe sempre fatto è il MMSE .
Tutti i soggetti con punteggio maggiore di 24 possono essere considerati potenziali pazienti con demenza in fase iniziale, mentre coloro che risultano con un punteggio già inferiore a 24 sono pazienti con demenza conclamata.
Pertanto, un protocollo approfondito neuropsicologico , per diagnosticare fasi iniziali di demenza, è indicato solo nei pazienti con MMSE maggiore di 24.
I test che potrebbero essere utilizzati sono:
Per valutare la qualità di rievocazione immediata e differita: 15 parole di Rey
Per la memoria a breve termine: Test di Corsi e Parole bisillabiche
Per la memoria a lungo termine : Span-visu spaziale
Per valutare la qualità di apprendimento: Memoria di prosa
Valutazione attenzione Selettiva o divisa: matrici attenzionali
Attenzione visiva: trayl making test
Valutazione del linguaggio : Fluenze verbali per categoria
Valutazione del ragionamento, intelligenza, funzioni integrative : Giudizi verbali, Matrici di Raven
Valutazione funzionale: ADL, IADL
Valutazione dello stato dell'umore: GDS ( scala per lo studio della depressione)

L’uso di farmaci anticolinesterasici in quei soggetti in cui il declino cognitivo è ancora iniziale è fondamentale per ritardare la comparsa dei sintomi di demenza.


PROTEZIONE DEL MALATO
Con l'avanzare della malattia, il paziente affetto da Alzheimer dovrà affrontare crescenti difficoltà nell'interagire con il proprio ambiente domestico, familiare, sociale. Diventa pertanto necessario adattare l'ambiente alle sue mutate possibilità cognitive e relazionali, creando un contesto che sia il più semplice e protettivo possibile.
Ricreare un ambiente sicuro, senza attrezzi affilati, pavimenti scivolosi e tappeti inciampanti, cavi elettrici vistosi. Dotare le porte e le uscite di lucchetti di sicurezza. Montare maniglie di appoggio nei bagni. Illuminare gli ambienti notturni per evitare confusione e irrequietezza. Organizzare i ritmi di vita del paziente con compiti giornalieri puntuali e fissi. Spiegare tutte le procedure e le attività prima di attuarle. Usare calendari, orologi, etichette o giornali per facilitare l'orientamento temporale. Ridurre l'eccessiva stimolazione e l'uscita in ambienti affollati: la stimolazione ambientale può portare ad agitazione e disorientamento. Evitare l'eccessiva luce di finestre e specchi, il rumore della TV e il disordine.
Stabilire una routine e mantenere uno standard di normalità
Lo stabilire una routine, nella vita dell'ammalato, può diminuire il numero di decisioni da prendere e contribuire a mantenere un ordine e una struttura nella sua vita quotidiana, che sarebbe altrimenti confusa.
Sostenere l'autonomia del paziente
È necessario che la persona rimanga indipendente il maggior tempo possibile, sia per preservare la sua autostima sia per diminuire il carico dell'assistenza.
Aiutare la persona a conservare la propria dignità
Occorre tenere in mente che il paziente assistito è ancora un individuo che sperimenta emozioni e sentimenti; pertanto ciò che viene detto può avere, per lui, un effetto disturbante. Occorre evitare discussioni circa le condizioni del paziente in sua presenza.
Evitare scontri
Qualsiasi tipo di conflitto causa uno stress inutile sia alla persona che assiste sia al malato. Occorre evitare di far notare gli insuccessi, mantenendo invece una calma compostezza. L'indisporsi può solo peggiorare la situazione: occorre infatti ricordare che quanto accade dipende dalla malattia, e non dal paziente.
Stabilire compiti semplici
È utile proporre compiti semplici al malato ; non bisogna porlo di fronte a troppe scelte.
Mantenere il senso dell'umorismo
Ridere con la persona affetta da demenza di Alzheimer, ma non di lui. L'umorismo può essere un ottimo modo per trarre sollievo dallo stress.
Incoraggiare il mantenimento di una buona forma fisica e di buone condizioni di salute
In molti casi, questo atteggiamento può aiutare la persona a conservare le proprie abilità fisiche e mentali più a lungo.
Aiutare il paziente a fare il migliore uso delle abilità esistenti
Lo svolgimento di alcune attività pianificate può rafforzare e promuovere un senso di dignità e di valore personale, dando uno scopo e un significato alla vita.
Mantenere aperta la comunicazione
Con l'avanzare della malattia, la comunicazione con il malato può diventare più difficile. Può essere d'aiuto per chi assiste il paziente:
accertarsi della integrità dei suoi sensi, come la vista e l'udito (la prescrizione degli occhiali può non essere più adeguata o l'apparecchio acustico può non funzionare correttamente);
parlare chiaramente, lentamente, viso a viso, e guardando la persona negli occhi;
mostrare affetto e calore attraverso il contatto fisico, se questo è gradito dalla persona;
prestare attenzione al linguaggio del corpo: la persona le cui capacità di linguaggio verbale sono compromesse può comunicare attraverso messaggi non-verbali;
essere consapevoli del proprio linguaggio corporeo;
individuare quale combinazione di parole-chiave (parole facili da ricordare che ne possono suggerire altre), suggerimenti e spiegazioni è necessaria per poter comunicare efficacemente con la persona ammalata; assicurarsi che il paziente sia attento prima di rivolgergli la parola.

Il pittore inglese William Utermohlen ha documentato in una serie di autoritratti il declino inesorabile del suo cervello colpito dall’Alzheimer: una sorta di specchio delle facoltà intellettive.
A 62 anni, nel 1994, quando gli viene diagnosticata la malattia, decise con coraggio , insieme alla moglie , di documentarla attraverso autoritratti.
Interessato a cogliere, al di là dei tratti fisici, il mondo interiore. Sarà la moglie, poi, a raccogliere i quadri.
Le capacità grafiche e tecniche che progressivamente si riducono non impediscono quelle espressive anzi quasi le accentuano. Alla rabbia iniziale segue confusione e tristezza.
Lo sfondo diventa nero ad indicare una solitudine che anche cure affettuose non riescono a colmare.
Cinque anni dopo la diagnosi,la sua pittura divenne solo una sequenza di attimi fuggevoli. L’artista è ancora in grado di dipingere un ritratto abbozzato, ma emerge un’immagine straniera e minacciosa per la propria identità.
Chi segue la malattia attraverso una persona cara sa quanto sia difficile definire la consapevolezza del paziente, il perché di certi atteggiamenti, la causa di mutamenti improvvisi del comportamento.
Le immagini presentate dimostrano che la diminuzione delle capacità cognitive non è sempre perdita di consapevolezza nè di emozioni e che il mondo interiore, la sensibilità, le paure, i desideri, sono conservati a lungo nonostante la malattia.
Molti disturbi “comportamentali” dei pazienti sono dovuti a questo.
Ci indicano che, nonostante la malattia, il desiderio di comunicare non cessa, anche se il paziente può esprimersi solo con mezzi limitati.
Per l’ artista il tramite è la propria arte, alla quale egli non rinuncia mai, vero “ponte” verso la realtà, di qualsiasi realtà si tratti.

Dott. Michela Pazzaglia
Specialista in Geriatria e Gerontologia
Omeopata


Residente a Cascina via Risorgimento 46 , cap 56021

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